Patto di Non Concorrenza e Opzione: Validità dell'Esercizio Dopo la Cessazione del Rapporto
Patto di Non Concorrenza e Opzione: Tra Flessibilità Datoriale e Certezza per il Lavoratore
Il patto di non concorrenza, disciplinato dall’articolo 2125 del Codice Civile, rappresenta uno strumento cruciale attraverso il quale il datore di lavoro mira a proteggere il proprio know-how, la clientela e, più in generale, il proprio avviamento commerciale da potenziali attività pregiudizievoli poste in essere da un ex dipendente. Tuttavia, la sua immediata operatività al momento della sottoscrizione non sempre risponde alle esigenze di flessibilità del datore di lavoro, il quale potrebbe preferire riservarsi una valutazione successiva circa l’effettiva convenienza di vincolare l’ex collaboratore. Qui entra in gioco l’istituto del patto di opzione, previsto dall’articolo 1331 c.c., che, innestato sul patto di non concorrenza, ne sospende gli effetti fino a una successiva ed eventuale manifestazione di volontà datoriale. Questo connubio, sebbene ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, solleva interrogativi complessi, specialmente quando la facoltà di esercitare l’opzione si protrae oltre la cessazione del rapporto di lavoro. Analizzeremo in dettaglio le implicazioni di tale scenario, le posizioni della giurisprudenza e le tutele per le parti coinvolte.
Il Patto di Non Concorrenza: Natura e Requisiti Essenziali
Prima di addentrarci nella specifica tematica dell’opzione, è fondamentale richiamare i contorni del patto di non concorrenza (PNC). Ai sensi dell’art. 2125 c.c., esso è un accordo con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Per essere valido, il patto deve rispettare requisiti stringenti, a pena di nullità:
- Forma scritta (ad substantiam): Il patto deve essere redatto per iscritto.
- Oggetto determinato: Deve specificare le attività interdette al lavoratore. Queste possono riguardare mansioni, settori merceologici o imprese concorrenti. Una delimitazione eccessivamente generica potrebbe renderlo nullo per indeterminatezza dell’oggetto o per eccessiva compressione della libertà professionale del lavoratore.
- Delimitazione territoriale: L’ambito geografico del divieto deve essere circoscritto. Non è ammissibile un divieto esteso all’intero territorio nazionale o addirittura a livello globale, se non in casi eccezionali e debitamente motivati dalla specificità dell’attività.
- Durata massima: Il vincolo non può eccedere i cinque anni per i dirigenti e i tre anni per gli altri prestatori di lavoro. Termini superiori sono automaticamente ridotti entro questi limiti.
- Corrispettivo congruo: Al lavoratore deve essere riconosciuto un corrispettivo specifico per il sacrificio imposto dalla limitazione della sua attività lavorativa futura. La congruità del corrispettivo è valutata caso per caso, tenendo conto della durata del vincolo, dell’estensione territoriale e oggettiva, nonché della qualifica e della retribuzione del lavoratore. La sua mancanza o irrisorietà può comportare la nullità del patto. Maggiori informazioni sulla determinazione del corrispettivo si possono reperire su siti specializzati in diritto del lavoro come Ipsoa Lavoro o Altalex.
La finalità del PNC è quella di bilanciare la tutela degli interessi aziendali con il diritto del lavoratore alla libera esplicazione della propria professionalità e al lavoro, costituzionalmente garantito (art. 4 e 35 Costituzione Italiana, consultabili sul sito della Presidenza della Repubblica).
Il Patto di Opzione ex art. 1331 c.c. Applicato al Patto di Non Concorrenza
L’articolo 1331 del Codice Civile definisce il patto d’opzione come l’accordo in cui “le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno”. La dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile. Trasportando questo schema al patto di non concorrenza, il lavoratore si impegna, dietro eventuale corrispettivo per l’opzione stessa (distinto e aggiuntivo rispetto a quello del PNC), a sottostare al vincolo di non concorrenza qualora il datore di lavoro decida, entro un termine stabilito, di esercitare tale facoltà. Fino a quel momento, il PNC non è operativo.
Questa configurazione offre al datore di lavoro un notevole vantaggio: la possibilità di “attendere e vedere”, valutando solo in un secondo momento – tipicamente in prossimità o all’atto della cessazione del rapporto – se l’attivazione del PNC sia effettivamente strategica. Ad esempio, un dipendente con accesso a informazioni sensibili potrebbe non rappresentare più una minaccia competitiva se, al momento della risoluzione del rapporto, tali informazioni sono divenute obsolete o se il mercato è significativamente cambiato. L’opzione permette quindi di differire la decisione e, potenzialmente, di risparmiare il corrispettivo del PNC se l’opzione non viene esercitata.
La compatibilità tra i due istituti è generalmente ammessa, ma la criticità emerge, come anticipato, riguardo al timing dell’esercizio dell’opzione.
La Tempistica dell’Esercizio dell’Opzione: Il Nodo Giurisprudenziale
Il cuore del dibattito giuridico si concentra sulla validità della clausola che consente al datore di lavoro di esercitare il diritto di opzione – e quindi di attivare il patto di non concorrenza – dopo che il rapporto di lavoro è già cessato. Questa pratica, infatti, lascia il lavoratore in uno stato di prolungata incertezza.
La Posizione della Giurisprudenza Dominante: No all’Esercizio Postumo
L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione (si vedano, tra le altre, Cass., 2 gennaio 2018, n. 3 e Cass., 4 aprile 2017, n. 8715) è fermo nel negare la legittimità dell’esercizio dell’opzione in un momento successivo alla cessazione del rapporto. Il ragionamento sotteso a queste pronunce, condiviso anche da molta giurisprudenza di merito (es. Tribunale di Milano, 30 maggio 2007), si fonda sulla tutela del lavoratore e sulla necessità di garantirgli una posizione di chiarezza al momento della chiusura del rapporto.
Al termine del contratto, il lavoratore deve essere messo in condizione di programmare il proprio futuro professionale senza ambiguità. Deve sapere con certezza se sarà libero di accettare qualsiasi offerta di lavoro o se, invece, dovrà rispettare i limiti imposti dal PNC per un determinato periodo e a fronte di un corrispettivo. L’incertezza derivante da un’opzione esercitabile sine die o comunque dopo la cessazione, lo costringerebbe a un limbo che potrebbe seriamente pregiudicare la sua ricollocazione. Egli non potrebbe né pianificare liberamente la ricerca di una nuova occupazione, né valutare con serenità la convenienza di eventuali proposte, dovendo sempre tener conto della “spada di Damocle” di un PNC attivabile a discrezione dell’ex datore di lavoro.
Questa interpretazione valorizza il principio di buona fede contrattuale (art. 1375 c.c.) e la necessità di non esporre il contraente debole – il lavoratore – a un’alea eccessiva, che renderebbe il suo diritto al lavoro e alla libera iniziativa economica (art. 41 Cost.) difficilmente esercitabile. Il lavoratore ha diritto a conoscere, al momento della sottoscrizione del patto con opzione, e soprattutto al momento della cessazione del rapporto, quali saranno i suoi effettivi vincoli futuri.
Per approfondimenti sulle sentenze citate, si può consultare il database della Corte di Cassazione (ItalgiureWeb) o riviste giuridiche specializzate online.
Le Rare Pronunce Contrari e le Loro Potenziali Motivazioni
Nonostante la solidità dell’orientamento maggioritario, si registrano alcune (più datate o isolate) pronunce di segno contrario, che hanno ritenuto ammissibile l’esercizio dell’opzione anche dopo la fine del rapporto. Tali decisioni potrebbero fondarsi su una lettura più strettamente legata all’autonomia negoziale delle parti (art. 1322 c.c.), considerando che il lavoratore, accettando la clausola di opzione postuma, avrebbe implicitamente accettato anche la conseguente condizione di incertezza, magari a fronte di un corrispettivo specifico per la mera concessione dell’opzione, ritenuto congruo a compensare tale disagio.
Tuttavia, questa visione minoritaria sembra non tenere adeguatamente conto dello squilibrio di potere contrattuale tipico del rapporto di lavoro e della natura del PNC, che incide su diritti fondamentali del lavoratore. La tendenza evolutiva del diritto del lavoro è, infatti, quella di rafforzare le tutele per il lavoratore, specialmente in contesti che possono limitarne la libertà professionale post-contrattuale. È possibile trovare analisi di queste diverse posizioni su portali come Diritto.it, che spesso ospitano commenti a sentenze e approfondimenti dottrinali.
Il Corrispettivo dell’Opzione e del Patto di Non Concorrenza
Un aspetto cruciale riguarda il corrispettivo. È prassi e, secondo alcuni, necessario, che al lavoratore sia riconosciuto un compenso per la sola concessione dell’opzione (c.d. “premio” dell’opzione). Questo sarebbe distinto e autonomo rispetto al corrispettivo dovuto per il patto di non concorrenza vero e proprio, che maturerà solo se e quando l’opzione verrà esercitata.
Se l’opzione contempla un esercizio postumo (pratica, come visto, fortemente osteggiata dalla giurisprudenza dominante), il corrispettivo per l’opzione dovrebbe essere particolarmente significativo, proprio per compensare il periodo di incertezza imposto al lavoratore. In ogni caso, il corrispettivo del PNC attivato dovrà essere congruo, come stabilito dall’art. 2125 c.c., e la sua erogazione (mensile durante il rapporto, una tantum alla cessazione, o rateale post-cessazione) dovrà essere chiaramente definita.
La mancanza di un corrispettivo per l’opzione, o la sua irrisorietà, potrebbe essere un ulteriore argomento a sostegno della nullità della clausola, specialmente se combinata con la facoltà di esercizio postumo, in quanto aggraverebbe lo squilibrio a danno del lavoratore. Informazioni sulla quantificazione del corrispettivo si possono trovare anche in guide pratiche offerte da associazioni di categoria o consulenti del lavoro come l’Ordine dei Consulenti del Lavoro (Consulentidellavoro.it).
Implicazioni Pratiche e Suggerimenti per le Parti
Alla luce del quadro delineato, emergono chiare indicazioni pratiche:
- Per i Datori di Lavoro:
- È altamente sconsigliabile prevedere clausole di opzione esercitabili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, data la probabilità che vengano dichiarate nulle in sede giudiziale.
- Qualora si opti per un patto di non concorrenza con opzione, è preferibile stabilire che l’opzione debba essere esercitata tassativamente entro e non oltre la data di cessazione del rapporto, o al massimo entro un termine brevissimo e certo immediatamente successivo, comunicato formalmente prima della cessazione stessa.
- Prevedere un corrispettivo specifico e congruo per la concessione dell’opzione, distinto da quello del PNC.
- Redigere il patto (e l’opzione) con chiarezza e precisione, specificando tutti gli elementi richiesti dall’art. 2125 c.c. (oggetto, territorio, durata, corrispettivo del PNC).
- Valutare attentamente, prima di inserire tale clausola, la reale necessità strategica e i potenziali rischi di contenzioso. Una consulenza legale specializzata, ad esempio da Avvocati Giuslavoristi Italiani (AGI) o studi legali con expertise in materia, è sempre raccomandata.
- Per i Lavoratori:
- Al momento della sottoscrizione di un patto di non concorrenza, e a maggior ragione se esso include una clausola di opzione, è fondamentale comprenderne appieno tutti i termini e le condizioni.
- Prestare attenzione al termine per l’esercizio dell’opzione: se si estende oltre la cessazione del rapporto, è un potenziale campanello d’allarme.
- Verificare la congruità del corrispettivo sia per l’opzione (se prevista) sia per l’eventuale PNC.
- In caso di dubbi o di clausole percepite come vessatorie, è opportuno richiedere chiarimenti o assistenza a un sindacato o a un legale specializzato in diritto del lavoro.
- Conservare tutta la documentazione relativa al patto (contratto, comunicazioni di esercizio dell’opzione, etc.).
Conclusioni: Verso un Equilibrio tra Interessi Contrapposti
La combinazione tra patto di non concorrenza e patto di opzione rappresenta un tentativo di introdurre flessibilità in uno strumento, il PNC, che per sua natura impone significativi vincoli. Tuttavia, tale flessibilità non può tradursi in un’eccessiva compressione dei diritti del lavoratore, soprattutto per quanto riguarda la sua capacità di pianificare il proprio futuro professionale dopo la conclusione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza maggioritaria, nel sancire l’illegittimità dell’esercizio dell’opzione in un momento successivo alla cessazione del rapporto, ha tracciato una linea chiara a tutela della certezza e della libertà di ricollocazione del lavoratore. Questo orientamento riflette un bilanciamento degli interessi che considera il lavoratore come la parte contrattualmente più debole, bisognosa di protezione da clausole che potrebbero generare un’alea ingiustificata e limitare indebitamente il suo diritto al lavoro.
In definitiva, sebbene l’opzione possa essere uno strumento utile, la sua applicazione al patto di non concorrenza deve avvenire nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e, soprattutto, garantendo che il lavoratore, al momento cruciale della cessazione del rapporto, sia pienamente consapevole dei vincoli e delle opportunità che definiranno il suo immediato futuro professionale. Una redazione contrattuale attenta e conforme agli indirizzi giurisprudenziali prevalenti è la migliore via per prevenire contenziosi e assicurare un equo contemperamento degli interessi in gioco.
Si precisa che il presente articolo ha natura puramente divulgativa e non costituisce parere legale. Per questioni specifiche, si raccomanda di consultare un professionista qualificato.
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